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Tra il dire e il fare

Non giocarti la vita e scommetti su te stesso: quando il gioco diventa un problema…

La parola azzardo deriva dall’arabo az-zahr che significa “dado” con un chiaro riferimento all’uso di questi antichi oggetti per sfidare la sorte in giochi in cui si scommette sul risultato per sfidare la sorte in giochi in cui si scommette sul risultato del loro lancio. Questa attività cosi antica si differenzia indubbiamente dai giochi praticati da bambini e adulti come passatempo o come sport. Sebbene in qualsiasi gioco il fattore aleatorio, ovvero il caso, svolga un ruolo da non sottovalutare, nel gioco d’azzardo si gioca proprio contro la sorte. Si punta del denaro, che non si potrà poi riavere indietro e si scommette che quel dato evento finirà in un determinato modo. L’osservazione clinica del gioco d’azzardo ha cominciato ad apparire sulle riviste scientifiche all’inizio del ‘900; tuttavia, ad oggi è ancora difficile delineare una linea consensuale tra i vari approcci che si sono interessati delle cause sottostanti i vari gradi di coinvolgimento delle persone nel gioco d’azzardo. Freud, ad esempio, interpretò la coazione al gioco d’azzardo come una forma di autopunizione, guidata dal bisogno di perdere, al fine di alleviare il senso di colpa dato dal complesso edipico; il gioco, inoltre, rappresenterebbe una trasformazione simbolica del bisogno (e vizio) masturbatorio infantile – analogia che verrà poi ripresa da diversi autori psicodinamici. La teoria comportamentista, invece, sulla base della teoria di Skinner e dalle riflessioni sullo stimolo intermittente, spiegò che il giocatore, rinforzato dall’eccitazione associata ai momenti della “puntata” e da vincite casuali anche relativamente infrequenti, sarebbe spinto a ritentare, sviluppando e mantenendo così il desiderio di giocare fino a raggiungere un livello patologico – in quest’ottica, più tentativi corrispondono a maggiore eccitazione e maggiore possibilità di vincita. Ancora, secondo il modello cognitivista, l’origine del coinvolgimento sarebbe da attribuire ad una sorta di pensiero magico (quindi irrazionale), in cui ogni giocata è vista come indipendente da quelle precedenti, ha una propria possibilità di vincita e porta il giocatore a sviluppare la sensazione che ogni partita sia quella vincente, credendosi esperto, capace e imbattibile, senza essere in grado di riconoscerlo come fonte di perdite finanziarie e sofferenze emotive – e soprattutto come il puro effetto del caso.

Giocare d’azzardo può creare dipendenza. Non rappresenta dunque un vizio, ma una vera e propria patologia, che tuttavia può essere curata. Spesso però è faticoso e non proprio semplice abbandonare una serie di comportamenti e pensieri che in un primo momento hanno procurato piacere e divertimento.

Una volta che si è smesso di giocare, succede un po’ come per un grande amore ormai finito: se dopo tanto tempo incontrate per strada la vostra vecchia fiamma probabilmente vi farà ancora effetto ricordare i bei momenti vissuti insieme, ma se siete preparati, dopo un primo turbamento riprenderete tranquillamente il vostro cammino, senza far nulla di cui poi potreste pentirvi.

Alcune ricerche hanno portato alla scoperta che esistono delle basi biologiche che predispongono determinate persone a giocare d’azzardo: si tratterebbe di uomini e donne con una certa propensione al rischio e alla ricerca di sensazioni forti. Ma il gioco risulta anche essere un comportamento appreso, perché fin da piccoli, nell’ambiente familiare oppure durante lo sviluppo in età adulta, si può essere espositi al gioco d’azzardo e trovarlo assolutamente normale. La

rima volta che una persona entra in un casinò, si siede davanti a una slot machine o traccia dei segni su una schedina, non ha affatto le idee chiare su quel che sta facendo. Spera di vincere, questo è certo, ma per il resto non pensa ad applicare particolari strategie. Molte persone giocano una volta alle slot, si stufano e se ne vanno, anche se vincono; altre invece provano qualcosa di diverso, rimangono segnate da quell’esperienza e iniziano un continuo pellegrinaggio verso luoghi del piacere, del divertimento dell’alienazione. Spesso alla fine del percorso si ritroveranno con un pugno di mosche in mano, molti debiti e tanta sofferenza ma all’inizio quegli effetti sono ancora troppo lontani e non possono spaventarlo. Presto tali individui diventano dei veri esperti del gioco, arrivando a conoscere, o pensando di conoscere tutti i trucchi per vincere. Peccato però che non funzionano quasi mai. Spesso, i familiari dei pazienti arrivano in studio da me, chiedendomi se è più giusto smettere un pò alla volta o troncare di netto….la mia risposta, di fronte ad un familiare ormai disperato, è che occorre prendere coraggio a quattro mani e dirsi che non è più opportuno continuare a giocare. Credere che si giocherà sempre meno, che un giorno ci si sveglierà non avendo più voglia di giocare è un pensiero non realistico. Molte persone smettono di fumare scalando pian piano il numero di sigarette, altre raccontano di aver smesso da un giorno all’altro. Nel caso del gioco d’azzardo il problema di adottare un approccio a scalare è che nel frattempo continuano ad attivarsi tutti i meccanismi del gioco, per non parlare delle vincite che si possono sempre verificare anche durante quel processo. Se mentre state diminuendo progressivamente il numero di volte in cui giocate, fate una vincita, che cosa potrà facilmente accadere? Senza essere Nostradamus credo proprio che riprenderete a giocare più di prima. Quindi occorre non giocare neanche più un euro a nessun gioco d’azzardo perché per quanto sia pesante, questa è l’unica strategia efficace in un percorso di vero cambiamento, un percorso sicuramente non facile, per questo l’aiuto e il sostegno psicologico, insieme ad u percorso di ad un sostegno farmacologico (in alcuni casi) possono aiutare il soggetto . Quasi tutti gli autori concordano nel considerare i vari livelli del gioco come diversi momenti di un unico continuum: molti giocatori non giungeranno a sperimentare aspetti patologici connessi al gioco d’azzardo; altri, invece, svilupperanno un comportamento che affliggerà pesantemente la loro vita e quella dei loro cari, con importanti ripercussioni finanziarie e sociali.

Ecco, quindi, che è possibile individuare tre dimensioni principali: sociale, problematica e patologica.- I giocatori sociali sono giocatori non problematici, che giocano in maniera occasionale o abituale solo per divertirsi o per rilassarsi; scelgono solitamente giochi lenti, sono attratti dal rischio e dalla vincita ma sono in grado di smettere di giocare in qualunque momento.- I giocatori cosiddetti problematici sono coloro che non hanno un pieno controllo del gioco, il quale inizia a compromettere, infrangere o danneggiare l’ambito personale, familiare e/o sociale, ma non arrivano a perdere totalmente il controllo; essi sono, tuttavia, fortemente a rischio di sviluppare un comportamento di gioco patologico. Infine, i giocatori patologici sono quelli che la maggior parte degli autori definisce con un’incontrollabile brama di giocare – che può essere paragonata al craving sperimentato da coloro che sono dipendenti da sostanze. Lo stato di euforia e di eccitazione provato da questi soggetti è, infatti, fortemente comparabile con quello indotto dalla cocaina o da altre sostanze stimolanti. In generale, essi sperimentano una modalità di gioco ad alta frequenza e per lunghi periodi fino ad una perdita di controllo del comportamento di gioco che li porta a debiti sempre più pesanti e ad una progressiva pervasività del gioco nella loro vita. Essi sono

consapevoli che il gioco li compromette sul piano relazionale, affettivo e personale, ma sono totalmente dipendenti e incapaci di resistere all’impulso di giocare.

I giocatori patologici sono solitamente descritti come impulsivi, stravaganti e disordinati, con maggiori tratti di estroversione, novelty-seeking (la tendenza a ricercare esperienze nuove e ad evitare attivamente la monotonia) e sensation-seeking (la tendenza a ricercare il rischio e le esperienze eccitanti) rispetto alla popolazione generale; presentano tratti di bassa sensibilità e altruismo, maggiore distacco sociale e preferenza per le ricompense materiali. Ancora, sembrano più inibiti verbalmente e meno portati ad esprimere sensazioni, sentimenti e paure e più portati, invece, a mascherare le proprie emozioni – questo potrebbe essere spiegato considerando il ruolo sociale e lo stile di vita che il giocatore deve mantenere al di fuori del mondo del gioco, poiché costretto a chiudersi e mentire anche alle persone a lui più vicine. Il gambling è spesso associato a ipomania, disturbo bipolare, abuso di sostanze psicoattive e alcool, disturbi di personalità (soprattutto di cluster B e C), deficit dell’attenzione con iperattività, oltre che a depressione e ansia (soprattutto attacchi di panico), spesso accompagnata da sintomatologia somatica – molto comuni sono i disturbi fisici associati allo stress quali ulcera peptica e ipertensione arteriosa. Come ogni altra dipendenza, l’insorgenza di comportamenti patologici di gioco non può essere attribuita ad una singola causa, ma è bensì la conseguenza dell’interazione di fattori individuali demografici, neurobiologici, cognitivi, emotivi, esperienziali; ambientali e culturali. La presenza di genitori con problemi di gioco, così come la frequentazione di giocatori patologici, sono due dei fattori di rischio più determinanti e facilitanti l’ingresso nella patologia. Un ruolo primario tra i fattori psicologici sembra detenerlo il tratto di sensation-seeking: in questo senso, giocare d’azzardo sarebbe un modo per provare nuove esperienze, uscire dalla noia della vita quotidiana e soddisfare il desiderio di provare emozioni eccitanti e forti.

Riferimenti bibliografici

Caillois R. (1967) I giochi e gli uomini, Milano: Bompiani, 1995

Caretti V., La Barbera D. (2005) Le dipendenze patologiche. Clinica e psicopatologia, Milano: Raffaello Cortina Editore

Savron G., Pitti P., De Luca R., Guerreschi C. (2001) Psicopatologia e gioco d’azzardo: uno studio preliminare su un campione di Giocatori d’Azzardo Patologici, Rivista di psichiatria, 36(1):14-20

Slutske W.S., Zhu G., Meier M.H., Martin N.G. (2010) Genetic and Environmental Influences on Disorcered Gambling in Men and Women, Archives of General Psychiatry, 67(6):624-630

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Approccio psicologico al paziente con Fibromialgia

Da molti anni nel mondo scientifico sta assumendo crescente evidenza che molte delle patologie che comportano dolori cronici tendano ad avere una maggiore incidenza nelle donne. Si amplia così la lista delle patologie caratterizzate dalla presenza del sintomo del dolore, dove la donna sembra presentare una particolare suscettibilità. Tra le tante malattie, la Fibromialgia sembra avere una particolare rilevanza. Si tratta di un quadro patologico che provoca dolori diffusi dell’apparato motorio che si presentano inizialmente localizzati nel tratto cervicale o lombare e si diffondono nel giro di qualche mese o anno all’interno del sistema. La malattia compare in età relativamente giovane. Essa si manifesta quando si verifica un abbassamento della soglia del dolore. Accanto al sintomo del dolore si presentano disturbi vegetativi e funzionali, astenia, instabilità emotiva e disturbi del sonno. Solitamente il paziente al risveglio si sente ancora affaticato come se non avesse dormito affatto. Sebbene possa addormentarsi senza difficoltà, la fase profonda del sonno (fase 4°)è spesso disturbata. Il sonno dunque può essere leggero con continui risvegli notturni. Si riscontrano a volte disturbi del sonno quali la sleep apnea o la sindrome delle gambe senza riposo. L’interruzione della fase profonda del sonno può alterare la percezione del dolore pertanto può essere necessario assumere farmaci che migliorano la qualità del sonno. Allo stato, non esistono esami di laboratorio in grado di fare la diagnosi che di solito viene posta per esclusione. Le cause della fibromialgia sono ancora sconosciute ma esistono fattori aggravanti che possono essere ad esempio infezioni virali, stati di sovraffaticamento psichico o fisico, fattori climatici (umidità-freddo), farmaci, traumi, operazioni chirurgiche, eventi dolorosi o drastici cambiamenti di vita. È evidente dunque che gli aspetti psicologici di questa malattia sono molto evidenti. Alcuni studi hanno definito le linee guida per effettuare una diagnosi. Il dolore è il sintomo cardine della malattia. Questo dolore viene descritto in molti modi, comprendenti la sensazione di bruciore, rigidità, contrattura, tensione. Spesso varia durante la giornata, ai livelli di attività, alle condizioni atmosferiche, ai ritmi del sonno e dello stress. Circa il 90% dei pazienti riferisce astenia, ridotta resistenza alla fatica e stanchezza. La stanchezza a volte è molto simile a quella che si trova in una sindrome denominata sindrome da affaticamento cronico. I cambiamenti del tono dell’umore o del pensiero sono molto comuni nella fibromialgia. È stato infatti riscontrato che circa il 25% dei pazienti sono depressi o possono riferire disturbi d’ansia. Si ritiene infatti, che possa esistere un collegamento tra la fibromialgia e alcune forme di ansia e depressione. I pazienti si sentono depressi a causa dei loro sintomi difficili da gestire. Possono infatti essere presenti: disturbi del sonno, cefalea muscolotensiva o emicrania, sensazione di stanchezza, rigidità mattutina(soprattutto collo e spalle) stipsi o diarrea, parestesie (costituite da formicolii e sensazioni simili a punture) bruciore a urinare, sensazioni di gonfiore alle mani, dolori al torace, perdita di memoria, difficoltà di concentrazione, disturbi della sfera affettiva. Le opzioni terapeutiche per la fibromialgia comprendono: farmaci che diminuiscono il dolore e migliorano la qualità del sonno (pertanto ci si potrà rivolgere ad un reumatologo che dopo attenta visita procederà con la prescrizione dei farmaci). Programmi di esercizi di stiramento muscolare che migliorano il fitness cardiovascolare. Tecniche di rilassamento come il training autogeno, il rilassamento muscolare progressivo e altre metodiche per ridurre la tensione muscolare, che può essere effettuato da un professionista Psicologo. Oppure programmi educativi per aiutare il paziente a comprendere la fibromialgia e imparare a conviverci (Terapia Psicologica).

Studi hanno dimostrato che il solo trattamento farmacologico è spesso insoddisfacente. Infatti è stato dimostrato che i farmaci in combinazione con il training autogeno e /o il rilassamento progressivo aiutano i pazienti a riposare meglio. Inoltre attività come camminare, andare in bici, nuotare, fare esercizi in acqua danno ottimi benefici. Sebbene i sintomi possono variare di intensità la condizione clinica generale raramente peggiora. Spesso infatti solo il fatto di sapere che la fibromialgia non è una malattia progressiva e invalidante permette ai pazienti di non continuare a sottoporsi ad esami costosi ed inutili e a sviluppare una attitudine positiva nei confronti della malattia. La conoscenza della malattia gioca un ruolo importante nella strategia terapeutica. Più infatti il paziente è informato sulla fibromialgia più cercherà di adattarsi alla malattia stessa, migliore sarà la prognosi. L’approccio al paziente fibromialgico richiede un approccio multidisciplinare che comprende il terapista della riabilitazione, il reumatologo e lo psicologo. Con questo approccio infatti il paziente è in grado di convivere con la propria malattia in maniera soddisfacente. Infatti la consapevolezza che questa malattia esiste e la conoscenza dei meccanismi che la inducono può aiutare il paziente ad affrontare lo stato doloroso. Il supporto psicologico è fondamentale, può servire a superare la depressione che molto spesso subentra nelle fasi acute e a migliorare i rapporti sociali.

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Superare l' Eiaculazione Precoce

Superare l’eiaculazione precoce. Aspetti psicologi e trattamenti funzionali.

 

L’eiaculazione precoce è caratterizzata dall’incapacità da parte dell’uomo di esercitare un controllo volontario del riflesso eiaculatorio, in modo tale che, a seguito di una stimolazione sessuale minima, l’orgasmo viene raggiunto molto rapidamente o comunque prima di quanto l’uomo lo desideri.

L’eiaculazione precoce rappresenta il disagio sessuale maschile più comune; gli inizi della vita sessuale durante l’adolescenza possono essere contraddistinti dall’eiaculazione precoce che tende a scomparire in seguito alla acquisizione di un maggiore controllo eiaculatorio durante la fase dell’orgasmo.

Tuttavia la vita sessuale di circa 3 uomini adulti su 10 è caratterizzata da questa disfunzione sessuale. Nel 90% dei casi, chi soffre di eiaculazione precoce raggiunge l’orgasmo entro un minuto ed il restante 10% tra uno e due minuti mentre nella popolazione generale l’orgasmo viene raggiunto tra i 4 ed i 7 minuti.

Le cause dell’eiaculazione precoce possono essere biologiche (livelli ormonali anomali, problemi alla tiroide, alla prostata, all’uretra, utilizzo di farmaci), ma molto spesso le cause sono di natura psicologica ed in particolare riguardano l’incapacità di gestire adeguatamente l’ansia (dovuta alla eccessiva preoccupazione della necessità di soddisfare la propria partner) o problematiche relazioni all’interno della relazione sessuale.

E’ frequente trovare casi di eiaculazione precoce negli uomini che hanno avuto la maggior parte dei loro primi rapporti sessuali con prostitute o che hanno avuto diversi rapporti sessuali in condizioni potenzialmente imbarazzanti: queste situazioni possono in seguito influenzare inconsapevolmente l’uomo creando l’idea disfunzionale che l’attività sessuale debba concludersi il più velocemente possibile (per evitare di essere scoperti).

A seguito dell’eiaculazione precoce molti uomini arrivano a mettere in discussione la loro mascolinità e anche il loro valore personale non essendo capaci di controllare la propria l’eiaculazione.

A livello relazionale spesso l’uomo è giudicato dalla partner come egoista e rimproverato di prestare attenzione esclusivamente al proprio piacere sessuale ed ai propri bisogni sessuali, generando nell’uomo profondi sentimenti di frustrazione, angoscia, senso di colpa ed una drastica riduzione ed un costante evitamento dell’attività sessuale.

L’obiettivo del trattamento dell’eiaculazione precoce è quello di migliorare la capacità di gestione della propria ansia e di controllo del proprio riflesso eiaculatorio attraverso un trattamento specifico, individuale o di coppia, che possa rendere l’attività sessuale appagante e libera dalle barriere psicologiche dell’ansia.

Infatti l’eiaculazione precoce può influire sulla vita di coppia suscitando emozioni sgradevoli (umiliazione, rifiuto, solitudine o senso di abbandono) o inibendo quelle positive  (tra cui l’accettazione, l’intimità e l’amore).

La sofferenza emotiva di molte coppie afflitte dall’eiaculazione precoce è profonda, anche se spesso silenziosa e nascosta e ad essa si aggiungono la confusione sul da farsi e la sensazione di impotenza.

L’uomo affetto da eiaculazione precoce prova frequentemente le seguenti emozioni: confusione, vergogna, delusione, pesante senso di fallimento e di inadeguatezza, dubbi su se stesso, solitudine, umiliazione, frustrazione, dolore, depressione, imbarazzo isolamento sociale e paura di affrontare l’argomento.

In ambito psicologico sono state messe a punto numerose tecniche per superare l’eiaculazione precoce e vivere al meglio la propria intimità sessuale.

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L' Ansia

Ansia, stress e preoccupazioni capitano a tutti qualche volta. Ma per un numero sorprendente di persone l’ansia causa gravi sofferenze, in famiglia, a scuola, sul lavoro e nelle relazioni interpersonali. L’ansia impedisce di condurre un’esistenza piena e produttiva.

Quando la gente parla della propria ansia ricorre a frasi come queste: “non riesco a trovare le parole giuste per descrivere ciò che provo, è come una sensazione di morte imminente, vorrei urlare per cercare aiuto ma sono paralizzato”, oppure “quando incomincia l’attacco di ansia sento una morsa al petto e come se stessi affogando o soffocando, incomincio a sudare e la paura mi attanaglia”. Quasi tutte le persone che soffrono di ansia avvertono vari effetti fisici.

Le reazioni all’ansia variano considerevolmente da una persona all’altra e comprendono Accelerazione del battito cardiaco, Rialzo della pressione sanguigna, Vertigini o capogiri, Stanchezza, Disturbi gastrointestinali, Dolori generali, Tensione o spasmi muscolari, Sudorazione, Nausea e Tremore. L’ansia può assumere varie forme.

Il termine ansia deriva dal latino angere che significa strangolare o soffocare. In effetti uno dei sintomi più comuni dell’ansia è un  senso di soffocamento o di costrizione alla gola o al petto. Non tutti però sanno che l’ansia non è sempre qualcosa di negativo; in realtà ci prepara ad agire, ci mantiene reattivi e ci avverte dei possibili pericoli. Dunque bisogna essere contenti di averne almeno un po’!

L’ansia infatti aiuta ad evitare guai. Gli studi dimostrano che quando gli individui sperimentano un trauma inatteso, soltanto una minoranza si ammala di un’ansia profonda.

Infatti  di solito l’ansia nasce da una combinazione di cause: genetiche e traumatiche, traumatiche e familiari o talvolta tutti e tre insieme. Perché cercare l’origine dell’ansia? In realtà per vincere questo disturbo è importante identificare la fonte dell’ansia, poiché aiuta a capire che essa non nasce per caso ma si sviluppa per numerose e solide ragioni. Per questo e per altri motivi che vedremo in seguito è importante rivolgersi ad uno Psicologo e non un Neurologo,  come  spesso erroneamente accade. Se soffrite di eccessive preoccupazioni e tensioni, osservate la vostra famiglia. Tra coloro che soffrono di un disturbo d’ansia circa un quarto ha parenti con disturbi simili.

Ricerche dimostrano che tre tipi di genitori favoriscono l’ansia nei figli:

1.Ultra-protettivi: questi genitori proteggono i loro figli da qualsiasi possibile ferita o stress. Se i bambini inciampano, li afferrano prima ancora che abbiano toccato terra; quando hanno un problema glielo risolvono subito. Non sorprende quindi che i figli non riescano a sopportare la paura, l’ansia o la frustrazione.

2.Ultra-controllori:questi genitori controllano tutte le attività dei figli. Decidono ogni dettaglio, da come devono giocare a come devono vestire e a come devono risolvere i problemi di matematica. Così scoraggiano l’indipendenza e favoriscono la dipendenza e l’ansia.

Nel mio lavoro da psicologa, spesso incontro adolescenti con disturbo d’ansia. Parlando spesso con i genitori risulta chiaro come spesso l’ansia generata nei figli dipende dal modo di educare  e nella corretta gestione della vita quotidiana. Per far un esempio, ricordo un paziente, adolescente che soffriva di ansia solo quando stava in casa.

La madre era non solo protettiva ma adottava comportamenti inadeguati perl’età del figlio. Controllava ad esempio se il figlio, ormai diciassettenne, facesse i propri bisogni fisiologici, entrava in bagno con il figlio per controllarlo se si lavava correttamente, controllava ripetutamente se i messaggi scritti dal figlio sui social network fossero scritti correttamente in italiano. Questo naturalmente ha generato non solo ansia nel ragazzo, ma anche una bassa autostima così come un senso di inadeguatezza nei confronti di se stesso e degli altri.

3.Incoerenti: sono genitori che danno ai figli regole e limiti incerti. Un giorno intervengono e aiutano i bambini a fare i compiti a casa; il giorno dopo esplodono se chiedono aiuto. I figli così non riescono a stabilire la connessione tra i loro sforzi e i risultati. Sentono perciò di non avere il controllo su ciò che capita nella loro vita.

Dunque non è sorprendente che si sentano ansiosi. Altri aspetti importanti riguardano anche gli stress della vita quotidiana. In effetti la settimana lavorativa, oggi, è sempre più lunga, la vita è piena di pericoli e di problemi complessi.

Forse è per questo che gli psicologi vedono crescere sempre più il numero delle persone con problemi legati all’ansia. Che tipo di pensieri hanno i soggetti ansiosi rispetto agli altri individui? Le persone ansiose in genere pensano in modo differente dagli altri individui.

In genere queste persone sperimentano un bisogno di approvazione (se avete bisogno dell’approvazione degli altri vi preoccupate enormemente di ciò che le persone pensano di voi) fanno previsioni e hanno pensieri sul futuro negativi (pensando al futuro vi succede di prevedere sempre i risultati peggiori) esagerazione (le persone che ingigantiscono l’importanza degli eventi negativi si sentono solitamente più ansiose delle atre, perfezionismo (se siete perfezionisti credete che ogni errore porti a un vostro fallimento completo) scarsa concentrazione (le persone ansiose riferiscono di solito una certa difficoltà di concentrazione) pensieri incontrollabili (ovvero pensieri che attraversano di colpo la mente in un flusso incontrollabile di ansia e preoccupazioni).

Ma come si cura l’ansia? Molte sono le tecniche impiegate dagli psicologi per ripristinare lo stato di benessere dell’individuo.

Tra queste troviamo:

  • la respirazione addominale
  • il training autogeno
  • il rilassamento muscolare progressivo

Queste tecniche funzionano perché il rilassamento così come una corretta respirazione inibiscono l’ansia. Infatti gli studi dimostrano che allenarsi a respirare correttamente può contribuire nel giro di poche settimane alla riduzione degli attacchi.

Altre ricerche hanno indicato che il controllo del respiro può ridurre la pressione, migliorare il ritmo cardiaco, diminuire certi tipi di crisi epilettiche, aumentare le prestazioni mentali, calmare le preoccupazioni e persino migliorare gli effetti degli esercizi di riabilitazione che si eseguono dopo un attacco cardiaco.  Altre ricerche hanno messo in evidenza che il training autogeno così come il rilassamento muscolare progressivo danno ottimi risultati sui disturbi d’ansia.

Questi metodi sono quelli più preferiti dagli specialisti europei. Infatti un certo numero di studi indica che tali metodi sono efficaci nel ridurre lo stress, nel controllare vari disturbi d’ansia, nel calmare il mal d’aria, il mal di mare, nell’alleviare certi tipi di dolore muscolare cronico e nel sedare certi dolori e malesseri conseguenti a operazioni di by-pass coronarico.

Uno studio pubblicato sulla rivista “Complementary Therapies in Medicine” nel 2000 mostrò che è efficace almeno quanto i farmaci che vengono somministrati per curare il disturbo d’ansia generalizzato, un disturbo d’ansia che comporta uno stato di tensione e di preoccupazione che dura a lungo e che è quasi costante. Il soggetto che ne è affetto sperimenta in genere agitazione, irritabilità, nervosismo, irrequietezza o eccitamento, muscolatura tesa, specialmente sulla schiena, nuca o spalle, difficoltà di concentrazione ad addormentarsi o a dormire. Molte persone per alleviare i sintomi dell’ansia utilizzano i farmaci.

I farmaci però non insegnano come affrontare i problemi. Una classe di farmaci, le benzodiazepine, interferisce con i benefici a lungo termine del metodo dell’esposizione. Inoltre, benchè siano utili in determinate casi, possono creare dipendenza o comunque provocare effetti collaterali. D’altra parte bisogna essere chiari: certi farmaci possono fornirvi il sollievo che vi è necessario, ma le pillole non sono la bacchetta magica che molti sperano.E come faccio se l’ansia arriva all’improvviso?

Qualche volta c’è bisogno di un rimedio rapido e temporaneo per gestire l’attacco. Per un aiuto immediato potrete ricordarvi che:

L’ansia causa un respiro veloce e poco profondo: un respiro rapido e superficiale è un modo per accrescere l’ansia. Allora respirate lentamente e profondamente. Inspirate attraverso il naso, trattenete il respiro per alcuni secondi e lentamente espirate attraverso le labbra emettendo un sibilo o un sospiro, ripetete per un minimo di dieci volte. Parlane con un familiare o un amico.

Fate esercizi aerobici: di solito l’ansia produce adrenalina, un ormone che fa battere il cuore più veloce, tende i muscoli e produce varie sensazioni di malessere. Niente brucia l’adrenalina meglio degli esercizi aerobici. Vanno bene la corsa, una camminata veloce, una pedalata in bicicletta, il tennis ma anche la danza o della semplice ginnastica.

Fate una doccia calda, un massaggio, acoltaremusica, distrarsi, fare l’amore.

Controlla i pensieri ansiosi. Il modo in cui pensiamo influenza il modo in cui ci sentiamo. Le persone ansiose pensano in un modo che aumenta la loro ansia. quindi uno dei modi migliori per combattere l’ansia è liberarsi dei pensieri ansiosi. Per prima cosa mettete per iscritto le vostre preoccupazioni.

Ponetevi alcune domande; per esempio:” quella situazione è davvero così spaventosa come la penso?” oppure “c’è qualche prova che contraddica i miei pensieri ansiosi”? O ancora” le mie previsioni nere hanno una base reale?

Questo perché alcune teorie come la teoria cognitiva dei disturbi emozionali di Beck (1967, 1976) afferma che l’ansia così come anche la depressione si accompagnano a vere e proprie distorsioni del pensiero. Un processo disfunzionale di questo tipo si manifesta a livello superficiale come un flusso di pensieri automatici negativi nell’esperienza cosciente del paziente.

Nel disturbo d’ansia il difetto di elaborazione dell’informazione, causa della vulnerabilità e della persistenza dell’ansia stessa, può essere visto da un lato come una preoccupazione o fissazione relativa al concetto di pericolo avvertito dal soggetto e dall’altro come una sottovalutazione delle capacità individuali di farvi fronte.

Infatti una volta attivata la valutazione di pericolo, si crea una sorta di circolo vizioso che rinforza le manifestazioni d’ansia: per esempio possono condizionare il comportamento dell’individuo ed essere interpretati come segnali dell’esistenza di un grave disturbo fisico o psicologico.

Questi effetti accrescono il senso di vulnerabilità dell’individuo e di conseguenza rinforzano l’iniziale reazione ansiosa inducendo una serie di risposte sfavorevoli, le quali a loro volta non fanno altro che esasperare la valutazione di pericolo     Rivolgetevi ad un professionista sanitario.

Rivolgersi ad uno Psicologo e o Psicoterapeuta è il primo passo per poter affrontare le proprie paure e potersene liberare. Scopo del trattamento sarà quello di fare una corretta anamnesi, diagnosi e infine il trattamento, efficace  per fronteggiare il disturbo d’ansia.

Contatta uno Psicologo per fronteggiare la tua ansia, ricordando sempre che sei tu ad attuare il primo cambiamento

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Il Sostegno Psicologico

Il Sostegno Psicologico è una attività che lo Psicologo utilizza per supportare la persona e alleviare i suoi disagi di natura psicologica. Lo Psicologo cerca di ascoltare, colloquiare ed interagire in modo empatico con l’individuo, agevolando in lui le espressioni verbali circa le sue dinamiche interne e fornendo utili e funzionali spiegazioni su di esse.
Una sorta di spiegazione chiara, semplice, interattiva, funzionale circa i sintomi, le dinamiche, le caratteristiche delle problematiche psichiche, in modo da poter agevolare nell’individuo riorganizzazione mentale ed individuazione di risorse e strategie personali adeguate. Il Sostegno Psicologico può essere molto utile anche, se coinvolte, alle persone vicine all’individuo afflitto da problemi psicologici; ad esempio il partner, il coniuge, i familiari, i parenti, gli amici, etc., facilitando anche in loro sempre maggiore chiarezza ed analisi logica e pratica circa il disagio psicologico della persona cara, e quindi favorendo la loro personale riorganizzazione interna ed esterna nei rapporti con essa. Allora il Sostegno Psicologico può essere costituito anche da una sorta di corso esplicativo ed istruttivo sulla salute mentale. Un insegnamento pragmatico circa uno o più problematiche e dinamiche di natura psicologica, dove lo psicologo è, per così dire, l’insegnante ed il paziente l’allievo. Il Sostegno Psicologico ha tra i suoi fattori basali il cosiddetto concetto di Coping (dall’inglese “to cope”, ovvero “far fronte”, “affrontare”), ovvero la capacità insita in ognuno di noi ed utile per fronteggiare gradualmente e positivamente uno o più disagi interni.
Quindi qualsiasi persona ha interiormente a livello psico-cognitivo certe risorse, ma magari non riesce a rintracciarle e/o ad utilizzarle in maggior modo e/o al meglio. Partendo dal presupposto che i problemi psicologici siano innescati e portati avanti da atteggiamenti di coping disfunzionale, attraverso il Sostegno Psicologico si cerca, con interazioni e spiegazioni, di invertire tale tendenza, incentivando la ricerca e le riattivazioni di atteggiamenti di coping sempre più propositivi al proprio benessere psico-fisico.
Molto spesso la partenza e/o il mantenimento di molteplici problemi psicologici è ritrovabile nella scarsissima conoscenza di essi stessi, la quale crea, progressivamente, circoli disfunzionali sempre più stretti ed impenetrabili e schemi mentali e comportamentali inadeguati. Tutto questo rende il problema ogni giorno che passa ancor più serio.
Alcune problematiche psicologiche verso le quali il Sostegno Psicologico si mostra utile e funzionale sono:

  • disturbi d’ansia;
  • disturbi dell’alimentazione;
  • disturbi sessuali;
  • disturbi psicotici;
  • disturbi psicosomatici;
  • dipendenze;
  • disturbi del sonno;
  • problematiche relazionali, scolastiche e/o lavorative.

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Chi è lo psicologo

Il ricorso alla consulenza, all’aiuto e al supporto dello Psicologo si sta sempre più diffondendo in modo graduale e costante. Nonostante ciò però, certe volte, permangono ancora dubbi di vario genere su tale figura professionale. Per cercare di fare chiarezza si può affermare che lo Psicologo è un laureato in psicologia che ha effettuato regolare tirocinio formativo e iscritto all’albo professionale. In specifico egli si occupa di: prevenzione, diagnosi, abilitazione, riabilitazione e sostegno del disagio psichico e della promozione del benessere psicologico. Tutto questo attraverso specifiche e comprovate strategie e tecniche di colloquio, ascolto, osservazione, comunicazione, empatia e mediante appositi e validati test.L’intervento dello Psicologo non è assolutamente simile, e non può in alcun modo essere sostituito, da quello di un amico, di un familiare, di un sacerdote, di una guida spirituale, di un mago, etc., in quanto solo e soltanto egli possiede specifici strumenti professionali, conoscenze verificate e scientificamente validate, esperienza ed oggettività riguardo alle molteplici e delicate problematiche psicologiche. La figura dello Psicologo non è neanche paragonabile a quelle dell’educatore, del coach, del counselor, etc., disponendo rispetto ad esse specifica preparazione circa problemi e disturbi psicologici; infatti solo a lui sono consentiti interventi di prevenzione, diagnosi, abilitazione, riabilitazione e sostegno in ambito psicologico.

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